Farmacia Carnazzo Dott. Maurizio
Erbe e Piante officinali
primum non nocere
Folklore e magia
L'anima delle piante: una segreta comunicazione
tra spiriti umani ed essenze vegetali
Nel mondo antico si riteneva che esistesse una sintonia segreta tra gli esseri umani e i vari aspetti della natura, una sorta di filo diretto con pietre preziose e piante. Si pensava dunque che fosse possibile comunicare con le forme naturali esistenti sulla terra, in quanto ogni cosa era considerata come un essere dotato di anima.
Tale comunicazione avveniva mediante un linguaggio concreto, articolato in parole dirette ad una pietra o ad una pianta. A Roma, se un contadino aveva necessità di stimolare un albero particolarmente pigro, che non dava più frutti, lo minacciava verbalmente e lo percuoteva sul tronco. Questo rituale sceneggiato prevedeva l'intervento di un secondo personaggio, di solito un vicino, che suggeriva di concedere alla pianta una proroga, ossia una possibilità di correggersi: l'anima dell'albero, si credeva, indotta dalle minacce e dalle esortazioni, avrebbe costretto i suoi rami a fruttificare all'arrivo della bella stagione.
Come contropartita, secondo la mentalità primitiva, le anime del mondo vegetale dovevano essere rispettate dalla comunità, per non incorrere nella loro vendetta.
Riti della raccolta
La tradizione popolare insegna che per ottenere il massimo giovamento dalle erbe medicinali bisogna spiegare alle piantine, prima di coglierle, l'uso che se ne vorrà fare: è illecito recidere i fiori, senza che una ragione precisa ne giustifichi il sacrificio.
Nel Medioevo, tra il popolo cristiano, si diffuse questa credenza poeticamente ingenua: un'erba era magica, se per la prima volta era stata raccolta sul Monte Calvario. Chi l'avesse divelta, ricordando la passione del Signore, avrebbe in qualche modo ripetuto un gesto originario, assumendone la religiosità simbolica.
Allo scopo di rendere più sacro il rito della raccolta, alla vista di erbe miracolose si pronunciavano delle formule d'incantesimo, come queste anglosassoni che suonavano pressappoco così: "Salve erba santa della terra, nascesti dapprima sul monte Calvario, tu sei buona per curare tutte le piaghe, io ti colgo nel dolce nome di Gesù."
Ed ancora, rivolgendosi alla verbena: "Tu sei santa, verbena, che cresci sulla terra, perché ti colsero in principio sul monte Calvario. Guaristi il Redentore curando le sue piaghe sanguinose; io ti colgo in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo."
Risalendo indietro nel tempo, ecco una invocazione tradotta dal testo di un papiro egizio: "Tu sei stata seminata da Cronos, partorita da Iside, nutrita da Giove pluvio, cresciuta dal sole e dalla rugiada. Io ti colgo con la buona fortuna, il demone buono, all'ora favorevole, nel giorno adatto e propizio per tutti".
Sommariamente si potrebbe concludere che, secondo il parere degli antichi, le erbe, per essere magiche, dovevano essere state scoperte da divinità, come ad esempio la betonica reperita da Esculapio, oppure dovevano essere state sperimentate da esseri favolosi, come la centaurea trovata dal centauro Chirone, o infine da eroi, come l'achillea utilizzata da Achille per curare le ferite.
Le erbe divinatorie
Peraltro, la tradizione popolare non ricorda soltanto le erbe sante, ossia quelle trovate sul monte della passione, ma anche i frutti del peccato, come ci conferma questa noterella pubblicata in un almanacco a fine '800: "Fu di cotogno il frutto colto da Eva nel Paradiso terrestre, e che Adamo, pel suo agro sapore, non poté mandar giù, onde tutti gli uomini, appunto perché figli di Adamo, ne conservano ancora la traccia nel groppo della gola, detto comunemente pomo d'Adamo. Figuratamente vale sempre amarezza, afflizione, interno cruccio, affanno. Le verghe di cotogno erano strumento di tortura, e servivano per frustare le nude spalle dei malfattori o degli imputati per farli confessare".
Nel mondo magico popolare assai spesso ciò che è legato all'amore si ricollega anche alla dannazione, ed è questa la duplice connotazione del melograno, simbolo del desiderio e del demonio: "Le verghe di melograno servono ad indicare dove siano nascosti i tesori occulti. Importa però che siano maneggiate da una maga o da persona che sappia le formule, gli scongiuri. Questa persona deve aver venduta l'anima al diavolo. La melagrana bianca era di Lucifero, quando egli stava in cielo, e diventò rossa quando egli sprofondò nell'inferno. La melagrana rossa pertanto è del diavolo, e quando se ne vede una a chicchi rosso carico, dicesi ch'essa è della vera razza di Lucifero".
Cosi come l'uomo poteva parlare con le piante, si credeva che anche queste fossero in grado di metterlo in guardia contro i pericoli, che potevano essere di vario genere. Per es. "Chi sospetta infedele la moglie, può accertarsene percotendo con un bastone un verbasco fiorito. Il numero dei fiori che ne cadranno, indicherà quante volte essa abbia tradito il marito!"
La tradizione riconosce al loglio la prerogativa di fare pronostici: "Se l'anno sarà di abbondanza o di scarsezza, si pronostica con una spiga di loglio, staccandone ad una ad una le spighette e pronunciando alternativamente "buono o cattivo?" La spighetta apicìlare darà l'indicazione che si ricerca. Percorrendo le spighe del loglio dalla base all'apice e dicendo "M'ama, non m'ama?" le giovanette innamorate conoscono se i loro amanti dican davvero o per ischerzo. Cosi anche le buone vecchie interrogano la sorte che toccherà loro nel mondo di là, e nel percorrere la spiga pronunciano queste parole: "Inferno? Purgatorio? Paradiso?".
Analoghi riti di consultazione avvenivano anche osservando le foglie di olivo, mentre per scoprire le streghe si utilizzavano semi di senape.
Tra gli esseri umani e il mondo vegetale intercorre dunque uno straordinario legame integrativo. A conferma di ciò esiste un infinito repertorio mitologico: l'eroe riceve la forza e l'energia morale, che sono venute a mancare, abbracciando il tronco di un albero; riposando all'ombra di una quercia evoca sogni profetici.
Si credeva inoltre, presso molti popoli indoeuropei, che la donna fosse agevolata nel parto, chiedendo aiuto ad una pianta e sdraiandosi presso le sue radici.
Il legane si fa più intrinseco nelle favole popolari, dove capita spesso di sentir raccontare che dentro un frutto, un'arancia o una melagrana, stia nascosta una bella fanciulla che poi verrà sposata da un principe.
Una suprema allegoria della vita si cela nella credenza che la morte violenta e anche il suicidio possano causare la trasformazione dell'uomo in pianta (si ricordi ad esempio la metamorfosi delle disperate sorelle di Fetonte in pioppi, l'anemone nato dal sangue di Adone, oppure l'involucro arboreo che imprigiona il corpo di Pier delle Vigne, secondo la descrizione dantesca).
Per di più notiamo come nel linguaggio la commistione del livello vegetativo con quello umano sia immediatamente palese: di un uomo in buona salute diciamo vegeto, e gli anni della giovinezza si dicono 'verdi', in base ad un cromatismo arboreo peculiare e simbolico.
Le virtù delle piante
Nelle campagne emiliane, fino al secolo scorso, ogniqualvolta nasceva una bambina, il capo famiglia piantava un pioppo, affinché il legno costituisse la sua dote di futura sposa.
L'albero può altresì simboleggiare la femminilità: infatti un'antica tradizione cinese faceva corrispondere ad ogni donna un albero, ì cui fiori erano il presagio dei figli, ch'essa avrebbe avuto.
'Figli dei fiori' erano chiamati dai romani gli illegittimi e dagli ebrei 'figli delle erbe'.
Ricorderemo poi che alcune erbe, quali la verbena, avevano il potere di rendere invulnerabili: infatti gli ambasciatori romani di pace erano chiamati 'verbenari', poiché si presentavano all'avversario tenendo in mano un ramo di verbena, simbolo di immunità.
Mediante la simbologia di piante e fiori i giovani si sentivano liberi di esprimere sentimenti e giudizi riguardanti le fanciulle da marito della loro comunità; qualche volta l'usanza poteva assumere toni piuttosto aggressivi.
La felce invece rendeva invisibili, come dice uno dei personaggi di Shakespeare nell'Enrico IV: "Noi abbiamo raccolto i semi della felce, per loro noi siamo invisibili."
E persino il libro della Genesi riporta la memoria dell'uso superstizioso delle mandragole, dette pomi d'amore, assai ricercate dalle donne per le loro facoltà fecondatrici.
Molte piante furono oggetto di culto, essendo ritenute antropogoniche, cioè generatrici della specie umana: ad esempio alcune popolazioni aborigene indiane ritenevano che il loro progenitore fosse un bambù, altre una zucca, oppure una mimosa.
Plinio il vecchio scrive che a Roma era venerato un fico cresciuto nel foro imperiale, perché si diceva che alla sua ombra si fosse riposata la lupa mentre allattava Romolo e Remo. Presso le popolazioni latine il fico divenne dunque l'albero fecondatore per eccellenza: col suo legno venivano fabbricati amuleti propiziatori.
L'alchimista del '700
Una persistenza del concetto di anima rapportato al mondo floreale è riscontrabile nel XVIII secolo, a proposito delle capacità di alcuni maghi di saper rinchiudere entro fiale di vetro i cosiddetti fantasmi delle piante, al fine forse di concentrare maggiormente le loro virtù occulte. Per estrarre il fantasma, il mago pestava in un mortaio quattro libbre di seme del vegetale prescelto e le sigillava in un vasetto vuoto. Doveva poi attendere una notte serena per esporre il ricavato al vivificante bagno della rugiada e recitare segrete parole magiche.
Se qualcuno oggi fosse in grado di replicare con successo l'esperimento, potrebbe vedere: "Nel fondo della fiala la semenza che sarà diventata come gelatina, lo spirito sarà come una pellicola di diversi colori che galleggerà al di sopra di tutta la materia."
Dall'anima della pianta l'alchimista del '700 trae lo spunto per immaginare nuove e più ardite invenzioni: la palingenesi vegetale viene studiata insieme a quella dei metalli.
Parallelamente alla ricerca della pietra filosofale, si coglie il brivido di una superba avventura, che vagheggia in laboratorio la riproduzione di organismi animali.
Purtroppo ogniqualvolta, durante la lettura degli antichi testi, ci sembra di essere ormai giunti alla soglia della rivelazione, la confidenza del mago si arresta e subentra il riserbo dell'iniziato. Eppure la suggestione di una antico racconto può fare immaginare che quel poco di cenere incolore accumulato in fondo a una fiala di vetro, radichi lentamente per effetto di calore alchemico eccitante, poi allunghi uno stelo, delle foglie e dei fiori secondo la natura della pianta.
Fino al secolo scorso i racconti popolari non hanno mai smesso di affermare che gli alberi cantano e parlano per mezzo delle foglie agitate dal vento, che la foglia, come l'albero, ha coscienza di quanto avviene nel mondo e che per questo, il venerdì Santo, nell'ora della Passione di Gesù Cristo, tutte le fronde cominciano a tremare. Gli alberi hanno sguardi: il fiore è per l'albero come l'occhio per l'uomo.